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venerdì 4 marzo 2011

SCRITTURA GIORNALISTICA

SINTESI, ANALISI E STRUTTURA:

L'ORDA -QUANDO GLI ALBANESI ERAVAMO NOI- (di Gian Antonio Stella)


APPROFONDIMENTO a cura di Riziero Di Pietro

SINTESI

Notizie sull’autore:

Gian Antonio Stella è nato 49 anni fa a Vicenza.
È editorialista e inviato di politica economica e costume al Corriere della Sera, giornale in cui è praticamente cresciuto.
Vincitore di diversi premi giornalistici (dall”E’”assegnato da Montanelli, Biagi e Bocca al “Barbini”, dall’”Ischia” al “Saint Vincent” per la saggistica) ha scritto vari libri. Tra i più noti Schei, un reportage sul mitico Nordest, lo spreco, un ‘inchiesta su come l’Italia ha buttato via almeno due milioni di miliardi di vecchie lire,
Dio Po/gli uomini che fecero la Padania,un velenoso pamphlet sulla lega,
Tribù uno spassoso e spietato ritratto della classe politica di destra salita al potere nel 2001 e infine L’orda.Quando gli albanesi eravamo noi.
Lucida analisi sull’emigrazione di ieri e di oggi,dedicato al nonno Toni “Cajo”, “che oggi per pane e disprezzo in Prussia e in un Ungheria sarebbe schifato dagli smemorati che sputano su quelli come lui.”



Interminabili e massacranti marce, freddo pungente e volti tirati tra le montagne di frontiera.
Ansie, preoccupazioni esasperate in un barcone impegnato in pericolose manovre su coste impervie a notte fonda.
Impotenti donne vendute come prostitute per poche lire, bambini esili e non voluti sfruttati in fabbriche e nel mercato della pedofilia… Chi sono i protagonisti di questo triste quadro dipinto da Gian Antonio Stella? Slavi? Curdi? Marocchini? No, siamo noi.
Noi Italiani che, com’è descritto nel libro: “L’orda. Quando gli albanesi eravamo noi”, emigravamo a centinaia di migliaia verso il nord Europa o l’America.
Noi alla seria e disperata ricerca di fare fortuna per sistemare casa in un pomeriggio, per far funzionare tutto come negli orologi. Eravamo noi.. ce ne siamo forse dimenticati?

Molto meno di cent’anni fa, tutte le peggiori ingiurie e quella diffidenza oggi destinata agli extracomunitari, toccavano a noi, italiani con valigia di cartone sparsi per l’ Europa, Stati Uniti, America del Sud, Australia. Accadeva ai nostri nonni che come “albanesi”venivano discriminati perché appartenenti a un popolo considerato infido, sporco e incline a delinquenza: il popolo italiano, figlio della lupa, portavoce del Bel Paese dove sono nati Dante, Petrarca, Michelangelo e chi più né ha più né metta.

L’orda, gente che si avventura, massa caotica di cavallette o barbari, pronta a portare scompiglio in una nazione che non gradisce lo straniero, la criminalità e gli sporchi affari che abbracciano culture diverse.
Con molta onestà, Stella ammette che non sempre gli stereotipi negativi sugli italiani erano infondati: davvero eravamo poveramente abituati a vivere, anche nei paesi ospitanti, in condizioni igieniche precarie. Il tasso di alfabetismo dei nostri emigranti era fra i più alti in Europa.
E alla miseria materiale seguiva sovente quella morale, con il ricorso, dettato talvolta dalla necessità di sopravvivere, ad espedienti e stratagemmi riprovevoli.

Gli italiani alimentavano il mercato della prostituzione (tristemente famosa la “tratta delle bianche” e purtroppo anche il traffico di bambini destinati alle voglie di squallidi uomini), erano dediti a truffe, furti , rapine, commercio della droga e ad altre lucrose attività criminali,come la vendita sempre dei nostri bambini destinati allo sfruttamento del lavoro minorile nelle vetrerie francesi o di Pittsburg. Nell’industria tessile di San Paolo del Brasile, nell’edilizia svizzera. Oppure impiegati come musicanti , spazzacamini in Olanda o strilloni in Argentina. Sottoposti, in ogni dove, ad un’esistenza miserevole.

La mafia e la camorra, purtroppo, in America le abbiamo esportate noi. E persino tra i padri più prossimi del terrorismo contemporaneo figurano gli italiani: i nostri anarchici, spesso imbevuti apparentemente di alti e nobili ideali, come ad esempio Mario Buda (Mike Boda) che il 16 Settembre 1920 fece saltare per aria Wall Street fermando il respiro di New York ottant’anni prima di Osama Bin laden.
Scrive Stella: “ Una storia carica di verità e di bugie. In cui non sempre puoi dire chi avesse ragione e chi torto. Eravamo sporchi? Certo, ma furono infami molti ritratti dipinti su di noi. Era vergognoso accusarci di essere tutti mafiosi? Certo, ma non possiamo negare d’avere importato noi negli States la mafia e la camorra. La verità è fatta di più facce. Sfumature. Ambiguità(…)
…Noi abbiamo vissuto l’esperienza prima, loro dopo. Punto.”

Le persone che emigrano in un paese straniero sono di frequente, oggetto di stereotipi che li rendono vittime degli autoctoni e impediscono loro di condurre un’esistenza normale.
Spesso i pregiudizi sono talmente forti da determinare vere e proprie persecuzioni, che possono arrivare a linciaggi, assassini e altre sanguinarie e repellenti brutalità.

E’ quanto ci racconta Gian Antonio Stella nel suo libro,ricco di fatti, personaggi, aneddoti, storie ignote o sconvolgenti, frutto della paziente consultazione di documenti, cronache, sull’emigrazione italiana in tutto il mondo mettendo in luce maltrattamenti, violenze, esclusioni, insulti sofferenze fatte e subite.
Ricordandoci di quello che fummo e delle ingiustizie e persecuzioni patite, Gian Antonio Stella ci richiama nel suo libro a una maggiore tolleranza e indulgenza verso i cittadini o stranieri, che vengono in Italia a cercare fortuna. Tuttavia rimarcando che :

“ Detto questo, per carità: alla gente dal buonismo, dall’apertura totale delle frontiere, dall’esaltazione scriteriata del melting pot, dal rispetto politicamente corretto ma a volte suicida di tutte le culture(…) Certo, un paese è di chi lo abita, lo ha costruito, lo ha modellato su misura della sua storia, dei suoi costumi, delle sue convinzioni politiche e religiose.Di più:ogni popolo ha il diritto, in linea di principio ed entro certi limiti, di essere padrone in casa propria. E dunque di decidere, per mantenere l’equilibrio a suo parere corretto, se far entrare nuovi ospiti e quanti . Di più ancora:in nome di questo equilibrio e di valori condivisi (la democrazia, il rispetto della donna, la laicità dello stato, l’uguaglianza di tutti gli uomini..) può arrivare perfino a decidere una politica delle quote che privilegi (laicamente) questa o quella componente. In un mondo di diffusa illegalità come il nostro, possono essere invocate anche le impronte digitali, i registri degli arrivi, la sorveglianza assidua delle minoranze a rischio,l’espulsione dei delinquenti,la manopesante con chi sbaglia. La xenofobia, però è un’altra cosa.” .

La scelta fatta da Stella è stata ispirata dall’ obiettività di raccontare a noi stessi, in questi anni di confronto con le “orde” di immigrati in Italia e di montante xenofobia, che quando eravamo noi gli immigrati degli altri, eravamo “diversi”. Eravamo più amati. Eravamo “migliori”.
Non è esattamente così.


ANALISI

I libri di Stella, per certi aspetti sono intellettualmente poveri. In compenso sono efficaci.
Il sottotitolo :”Quando gli albanesi eravamo noi” riassume tutto il pensiero dell’autore.
Egli cerca di smontare i luoghi comuni preferiti dai razzisti italiani mostrando loro come fossero stati impiegati gli stessi termini agli italiani del ‘900 da argentini, francesi, svizzeri, australiani e americani.
Una parte del libro dedica attenzione ai leghisti di cui l’autore riporta dichiarazione fatte dai rappresentanti di questo micro partito. Molte delle testimonianze e stereotipi razziali sono dirette agli italiani del sud, cosa che ad un leghista starebbe benissimo, ma Stella prova particolare gusto a far notare quando le vittime di calunnie , discriminazione e linciaggi dell’epoca erano dirette a friulani, veneti e piemontesi. Questa tirata polemica di Stella è una lettura eccitante in un certo senso perché è quel genere di libro da regalare ad un amico o parente che polemizza sempre sugli immigrati e dice che gli italiani che andavano all’estero facevano fare bella figura perché avevano il permesso e lavoravano.

A mio avviso è un libro straordinario perché fa realmente capire come sono andate le cose durante l’emigrazione italiana. Molti giovani non sanno proprio niente sull’emigrazione in generale , soprattutto su quella italiana. Forse con l’aiuto di questo libro capiranno e si renderanno conto della sofferenza e del disprezzo che i nostri nonni e parenti subirono. Sarebbe indispensabile che tutti lo leggessero per capire almeno le cause che spingono gli stranieri a rubare e delinquere, e come si formano facilmente gli stereotipi e i pregiudizi nei loro confronti. L’orda è diverso dai libri precedentemente scritti da Stella e per questo un po’ difficile da apprezzare inizialmente.

Fa riflettere il fatto che le cose di cui vengono accusati oggi gli stranieri in Italia sono esattamente le stesse di cui venivano accusati gli italiani qualche anno fa. Stella aiuta a comprendere meglio la nostra società e la nostra storia. Leggo ad esempio di un tale amalfitano, Giovanni Torrio, che “non fumava e non beveva, non tirava tardi al night perché preferiva starsene a casa tranquillo a canticchiare le arie di Giuseppe Verdi “ e che in compenso ideava la rete mafiosa che avvolse Chicago. A leggere certi giudizi riportati sui giornali del secolo scorso come New York Times, potrebbero sembrare esempi nostrani contro gli extracomunitari di oggi. “Di regola gli italiani non sono ladri o rapinatori :sono accoltellatori o assassini , brutta gente”, così dicevano di noi allora.

E poi ancora “…La feccia del pianeta, questo eravamo. Meglio:così eravamo visti. Non potevamo mandare i figli alle scuole dei bianchi in Louisiana. Ci era vietato l’accesso alle sale d’aspetto di terza classe alla stazione di Basilea. Venivamo martellati da campagne di stampa indecenti contro questa maledetta razza di assassini. Cercavamo casa schiacciati dalla fama d’essere sporchi come maiali. Dovevamo tenere nascosti i bambini come Anna Frank perché non ci era permesso portarceli dietro. Eravamo emarginati dai preti dei paesi d’adozione come cattolici primitivi e un po’ pagani. Ci appendevano alle forche nei pubblici linciaggi perché eravamo tutti siciliani..”

Di tutta la storia della nostra emigrazione abbiamo tenuto solo qualche pezzo. I successi di manager alla Lee Jacocca, di politici alla Mario Cuomo,di uno stuolo di attori da Rodolfo Valentino a Robert de Niro, da Ann Bancroft (all’ anagrafe Anna Maria) a Leonardo Di Caprio. Abbiamo velocemente seppellito il lato più oscuro della nostra situazione di emigranti, dei torti subiti e fatti nei paesi ospitanti. L’obiettivo di Stella è quello di far riflettere comunque con la parola xenofobia, sentimento di avversione per lo straniero e per ciò che è straniero, che si manifesta in atteggiamenti razzisti e azioni di insofferenza e ostilità verso le usanze, la cultura e gli abitanti stessi di altri paesi.

Alla luce di tutto questo resta vero il fatto che il giornalismo si svolge soprattutto per l’esperienza e la qualità che hanno un ruolo rilevante nella ricerca delle notizie (creatività, intraprendenza, tenacia e competitività. E’ possibile avanzare l’ipotesi che ciò dipenda dal fatto che il giornalista condivide con il sociologo il ruolo di descrivere il periodo societario oggetto di osservazione.
Gian Antonio Stella ha scritto il suo libro partendo innanzitutto dal concetto di dare notizie. Preoccupandosi di fornirle nel maggior numero possibile. Sviluppando dati, descrizioni e argomentazioni lasciando al lettore la facile conclusione interpretativa.

Riportando i fatti non come specchio delle condizioni sociali ma come la cronaca di un aspetto che si è imposto all’attenzione, presupponedo l’interesse del lettore, proiettato in narrazioni specifiche per essere meglio informato. Grazie ad un impasto tra storia , fotografie, racconti, articoli, L’orda di Stella è un documento attendibile e veritiero su come realmente sono andate le cose, chiudendo il tutto con una morale che non poteva essere altrimenti. In questo senso la funzione di informare si è fusa brillantemente con l’empatia dello scrittore che ha legato il lettore ha un filo sottile di solidarietà comune. Stella ha applicato alla lettera alcuni criteri fondamentali del giornalismo: quello della rappresentazione e della contrapposizione. Il primo agisce sugli avvenimenti facendoli diventare specchio della società in cui viviamo. Non si tratta solo di fornire informazioni ma di scattare una fotografia dei comportamenti sociali. Il secondo, la contrapposizione, è evidente nel momento in cui l’autore decide, di fronte a un avvenimento, di domandarsi se e quanto contrasti con un’ opinione convenzionale, uno stereotipo diffuso un modello consolidato. L’orda è cronaca e commento ,resoconto di fatti e giudizi sui fatti, è un’inchiesta sulla ricerca della verità che smaschera pregiudizi futili e soprattutto inutili per gente come noi: italiani.

L’autore non si è limitato a dire il chi, il quando, il che cosa, il come o il perché, bensì ha sondato l’inconoscibile, fondendo una scrittura oggettiva per cui i fatti sono stati riferiti direttamente e apertamente al lettore, con una scrittura soggettiva in cui fatti sono stati esposti anche attraverso e soprattutto un punto di vista interno agli stessi. Chiarezza, precisione , spettacolarità e suggestione sono stati gli ingredienti del successo di questo libro.
Gian Antonio Stella, giornalista di razza prestato alla “scrittura” per raccontare fatti all’ordine del giorno in una società come la nostra, dove troppo facilmente si dimenticano pezzi di vita scomoda. Parola d’ordine: comprensione.



















1)Cos’è la scrittura giornalistica in rapporto alla scrittura quotidiana e alla scrittura letteraria.

Non esiste la scrittura giornalistica , esistono le scritture giornalistiche con varie tecniche.

Fondamento della scrittura giornalistica è il rapporto con il tempo e lo spazio all’interno di un obiettivo:la notizia.
Il giornalismo inglese e americano propone una distinzione formale tra due tipi di scrittura della notizia giornalistica: news e feature. Per news s’intende la cronaca, basata sostanzialmente sulle cinque W e semmai sulla H di how. Feature, invece , nella traduzione letterale significa caratteristica di una cosa, indica l’aspetto speciale di qualcosa.

Da questo significato originale deriva il termine giornalistico, nel senso che i feature articles o le feature stories, sono aspetti speciali della scrittura giornalistica, che si caratterizzano nella scrittura quotidiana che amplia i margini di discrezionalità dei giornalisti e di conseguenza estende l’ambito della notizia includendo vicende,questioni, fenomeni sociali ,aspetti della realtà che secondo la teoria classica (news) non dovrebbero farne parte. Il già sottile confine tra giornalismo e narrazione, tra notizia e racconto, diventa ancora più sottile pur non mettendo in discussione il principio dell’aderenza alla realtà, della fedeltà ai fatti: Le features non sono mai fiction e anche se a volte ripropongono di divertire il lettore, il loro scopo principale resta sempre quello di informare.
Il genere comunque, risponde all’esigenza di vivacizzare quotidianamente il giornalismo scritto, per reggere il confronto con la forza di suggestione del giornalismo televisivo.

Altro discorso vale per la scrittura letteraria che comunque è basata anch’essa sulle cinque W ma che in aggiunta ha lo scopo di portare il lettore su binari emozionali che prevedono l’ambiente in cui si svolge una vicenda, eventuale azione nella vicenda, crisi, risoluzione del problema nella vicenda.
Il tutto per potenziare un climax narrativo ben lontano dall’essere breve e immediatamente efficace.

2) Linguaggio parlato e scrittura giornalistica: elementi di identità
e differenza.

Nella scrittura giornalistica molta attenzione si deve fare nel saper scrivere, soprattutto nel gestire al meglio la punteggiatura. Lynne Truss, autrice di un best seller sul come si scrive e sulla giusta punteggiatura, che in Inghilterra ha venduto più di 700.000 copie, ha definito l’uso delle virgole come “ Il cane da guardia delle parole. Il pastore che ne prende un gruppo, le fa stare insieme, separandole da un altro gruppo.” E’ necessario nella scrittura giornalistica separare i caratteri, dando ritmo alle parole, senso alle frasi per far giungere chiaro il concetto e il significato della notizia. Inoltre è necessario nella scrittura giornalistica approfondire ulteriormente un’ argomento trattato anche dai notiziari televisivi, proprio per sopperire alla velocità informativa di cui godono i mass-media. Corretta gestione dello scrivere, approfondimento scrupoloso e peculiare sui fatti, costituiscono i principali elementi che differenziano la scrittura giornalistica dal linguaggio parlato, che a sua volta è caratterizzato da una corretta gestione della voce del conduttore (con relativo tono ed enfasi) e fonte principale per l’utente che vuole immediatamente attingere alla notizia.

Elementi di identità possono risiedere nel fatto che in entrambi vige il diritto ad informare , il diritto di cronaca e di rettifica, quindi il diritto dovere di non privare la libertà all’informazione da parte dei cittadini e di non ledere la loro persona se non per utilità sociale.


3)Sintesi e giudizio su un articolo di due quotidiani nazionali su un identico fatto di rilevante interesse. Raffronto delle diverse modalità di trattazione da parte dei due autori.

Ho scelto di analizzare gli articoli scritti da Pierluigi Battista (Corriere della Sera) e Andrea Bonanni (La Repubblica), pubblicati nei rispettivi quotidiani, il giorno ventotto gennaio 2005.
L’argomento trattato: il giorno della commozione universale del ricordo della Shoah ad Auschwitz.

Nell’articolo di Battista, aperto con una finestra in prima pagina dal titolo “il volto oscuro dell’Italia” che palesemente richiama un noto libro scritto per i tipi della Rizzoli da Tobia Jones, concernente i mali e i difetti del nostro Bel Paese, appare chiaro l’intento di polemizzare e richiamare l’attenzione del ricordo del passato per prevenire attuali pericoli che si stanno sviluppando in Italia in questi anni.

Esplicito fin dal titolo:”Le nuove insidie dell’antisemitismo” Pierluigi Battista denuncia sottigliezze all’apparenza non importanti, quali ad esempio il fatto che durante la cerimonia commemorativa del ventisette gennaio non sia stata mai pronunciata la parola ebreo nell’intervento del presidente Putin. Così come è destinata ad alimentare polemiche la comparazione istituita da Silvio Berlusconi tra il nazismo e il comunismo,”utile 364 giorni l’anno nell’affrontare un controverso nodo storiografico e culturale , ma palesemente fuori contesto proprio nel giorno della celebrazione di Auschwitz”.

La commemorazione dell’Olocausto doveva servire a scongiurare qualsiasi ritorno della follia antisemita. Ma i numeri esposti ieri (27 gennaio) da Renato Mannheimer sul Corriere raccontano una realtà inquietante e molto diversa da quella che si esprime nelle rappresentazioni celebrative. Quei numeri dichiarano che in Italia è aumentata, fra la gente la convinzione di una diversità culturale e di stile di vita degli ebrei italiani, e il desiderio di un loro abbandono del nostro Bel Paese. Numeri agghiaccianti che vanno letti e osservati con attenzione proprio nel giorno del ricordo , affinché tutto ciò che è stato non vada mai più ripetuto e soprattutto non si vadano alimentando probabili atteggiamenti antisemiti all’interno di una nazione come la nostra, culla di cultura e crescita sociale nel rispetto di tutti.

L’esempio principale dovrebbe essere dato dai nostri rappresentanti politici che anziché pensare a creare, in ogni dove, cornici di comizi elettorali, dovrebbero riflettere di più nell’analizzare messaggi antisemiti (sinagoghe bruciate, cimiteri ebraici profanati, etc.) campanelli d’allarme che potrebbero raffiorare sotto “abiti nobilitanti”.
L’articolo di Bonanni invece, nell’affrontare il medesimo problema, ha posto l’accento sulla memoria, che oramai ha distanza di sessanta anni si tema possa andare nel dimenticatoio.
La polemica riguardo gli interventi dei capi di stato , Putin e Berlusconi, è stata chiaramente condivisa anche dal giornalista della Repubblica che ha aggiunto responsabilità dell’Europa tutta scrivendo:” Il mondo sapeva ma rimase zitto, questo resterà come un marchio d’infamia sulla fronte dell’umanità”. Sottile vena polemica da parte del giornalista di Repubblica, ai riguardi degli organizzatori della cerimonia , i polacchi colpevoli di non aver allargato la cerchia degli invitati alla cerimonia. In ultimo Bonanni ha chiuso il pezzo ricordando, come Battista, la lezione che si doveva leggere da tale manifestazione: Di fronte alle sirene del treno di Auschwitz occore passare il testimone della memoria alle giovani generazioni e far sì che queste si rendano veramente conto che simili orrori non vadano mai più ripetuti.

Tecnicamente i due articoli si somigliano , ma si differenziano nella scaletta dei vari argomenti trattati. La cosa a mio avviso gratificante che in entrambe le testate giornalistiche è stato evidenziato il problema dell’antisemitismo che tutt’oggi angoscia la nostra società, tutt’ora afflitta da atteggiamenti xenofobi e intolleranze razziali.


4) Sintesi e giudizio con le stesse modalità del punto tre, su un identico fatto di cronaca , da un quotidiano nazionale ed uno locale ( o dalle pagine locali di un quotidiano nazionale)

Analisi attenta alle questioni delle celebrazioni dell’ingresso di soldati russi nel campo di Auschwitz nel lontano 1945, è stata fatta dalla giornalista Vittoria Todisco del Quotidiano del Molise.

A differenza di firme lustre nazionali, la Todisco convenendo con le tesi esposte (nel punto tre con Bonanni e Battista), ha approfondito l’argomento all’ordine del giorno da altre angolature. Ha spostato l’attenzione sulle motivazioni psicologiche e d’educazione sociale, rilevando il fatto che il senso della tolleranza di cui spesso difettiamo ha radici molto più lontane.
“Deriva da quel dovere all’obbedienza che ci è stato inculcato anche in famiglia, una forma di difesa egoistica indossata come una guaina protettiva, la stessa che ci rende indifferenti alle vicende degli ebrei, come degli zingari, dei testimoni di Geova e degli omosessuali.”

5) Analisi della costruzione e del contenuto di una prima pagina di un quotidiano nazionale di un giorno a scelta.

TESTATA: CORRIERE DELLA SERA di Venerdi 28 gennaio 2005: analisi della costruzione.

1)APERTURA: Il mondo ad Auschwitz: “Mai più” (collocato nella parte alta centrale sinistra della prima pagina.

2)L’ATTACCO: chiamato in inglese lead, in gergo si dice cappello.E’ la parte più difficile per chi scrive e la parte determinante per chi legge: “Sessant’anni dopo capi di stato e reduci,liberatori e figli degli assassini nel campo di sterminio”.

3)CATENACCIO:”Israele: il crimine più orrendo. Il Papa:non è lecito dimenticare.
Putin non cita gli ebrei Berlusconi equipara nazismo e comunismo. Dai Savoia la
condanna delle leggi razziali” E’ un secondo titolo, definito sottotitolo,usato per rafforzare le notizie più importanti.

4)EDITORIALE .”Senza canone e senza sport” articolo di solito non firmato,che esprime laposizione del giornale . si differenzia dall’articolo di fondo che esprime invece il parere di un singolo giornalista, sia pure autorevole. In questo caso l’editoriale come l’ARTICOLO DI FONDO è firmato, quindi si parla di FIRMA posta a sinistra della facciata del foglio, il secondo, invece a destra: “E Bush rilancia il partito comunista”

5)INSERZIONE :in basso a destra,messaggio pubblicitario a pagamento, identificabile come tale.

6)SPALLA: L’ntervista ad Andresti ”A Ruini dice l’astensione è un errore” articolo collocato in alto a destra, posizione di prestigio.

7)TAMBURINO: segnalazione di spettacolo teatrale o cinematografo, in questo caso manca. Poi infine abbiamo i TRAFILETTI che rimandano alle pagine interne.

Riziero Di Pietro

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